- Chiese
- Via Guglielmo Marconi, Castelponzone, Scandolara Ravara, Cremona, Lombardia, 26045, Italia
Descrizione
La Chiesa vecchia di Scandolata Ravara
A un paio di chilometri da Castelponzone si trova, isolata sul limitare dell’abitato di Scandolara, la Chiesa Vecchia, dedicata alla Vergine. Nelle sue forme gotiche si presenta oggi in veste quattrocentesca, ma è molto più antica; la parte di maggiore rilevanza architettonica è l’abside poligonale, con lesene aggettanti che creano un ritmo semplice e armonioso, che emerge e al contempo sembra fondersi con la pianura di campi circostante.
All’interno si conservano il Redentore fra gli Evangelisti e i loro simboli e i quattro Dottori della Chiesa nel catino absidale e tre affreschi nella navata di Alessandro Pampurino, il pittore cremonese riscoperto a metà Novecento proprio grazie alla firma apposta qui nel sottarco dell’abside e rivelatosi in seguito uno dei protagonisti del rinascimento cremonese.
I dipinti dell’abside comprendono, oltre all’affresco del catino e ai Profeti del sottarco, anche le pareti, in un insieme originariamente raffigurante l’Assunzione della Vergine al di sopra di un’esedra di gusto bramantesco con Apostoli appaiati nelle nicchie; la parte centrale risulta oggi manomessa per l’inserimento nel Settecento di una cornice in stucco.
Sulla parete sud della navata, nella seconda campata dal presbiterio, è raffigurato in un trittico il Redentore fra i santi Sebastiano e Rocco, protettori dalla peste; a sinistra, al di fuori della cornice, San Giuliano. L’elegante incorniciatura presenta motivi decorativi a candelabre e girali, con piccoli tondi con profili antichi. Il dipinto è datato 1513 sul basamento, dove compare il distico latino “Noscere forte putas si me te decipis astra / cum tanges clares noscere nec poteris” (Se, per caso, tu credi di conoscere me, ti sbagli: anche quando li toccassi, non potresti conoscere gli astri) tratto dai Distichum libri del poeta modenese Panfilo Sasso (1499) e riferito a Dio Padre.
Sempre sulla parete sud, nella quarta campata, è raffigurata la Madonna col Bambino tra i santi Rocco e Gerolamo entro un’arcata a tutto sesto; ai lati, esterni all’incorniciatura, Sant’Antonio da Padova e Santa Lucia. L’arco classico in marmo che racchiude le figure ha analoghi motivi ornamentali e finge una volta a botte sotto la quale la Vergine è seduta su un piedistallo, mentre i santi si affacciano verso chi guarda dal basamento. Su quest’ultimo è un secondo distico tratto dalla medesima fonte poetica e riferito alla Vergine: “Quod clausi parvo non clausi pectore celum / exiguus venter non capit atque capit” (Ciò che ho racchiuso nel piccolo petto non l’ho racchiuso; l’angusto ventre non contiene il cielo, e insieme lo contiene). Anche qui compare l’anno 1513.
Infine, sulla parete nord, nella terza campata, la terza composizione ancora a trittico, purtroppo gravemente lacunosa nella parte centrale. A destra si riconosce san Rocco, a sinistra un santo in abiti vescovili; la parte più pregevole è quella superiore, con la Vergine e il Bambino su un trono di forme classiche affiancato da cornucopie ricolme di frutti. I santi laterali sono posti in nicchie con absidiole a conchiglia, entro un’incorniciatura in marmo arricchita di parti in bronzo.
La chiesa conservava un tempo altre opere più antiche: un raro Crocifisso ligneo di epoca romanica, fortunosamente riscoperto intorno al 1950 e in seguito trasportato nella chiesa parrocchiale, e una rovinata ara romana in pietra riusata come base di un’acquasantiera, acquistata nel Settecento da Giambattista Biffi, passata nella raccolta Sommi Picenardi alle Torri e oggi nel Museo Archeologico di Milano. Una fantasiosa ricostruzione recente ha voluto riconoscervi l’altare funerario di un improbabile Ilumvio: ma la sua funzione e l’iscrizione, oggi del tutto illeggibile, restano avvolte nel mistero.